Tecnologia e progresso: sappiamo dove stiamo andando?

I continui cambiamenti che caratterizzano la società attuale e il flusso imponente di dati e informazioni cui siamo sottoposti ogni giorno, senza disporre degli strumenti adeguati per ordinarli e interpretarli, stanno avendo conseguenze potenzialmente rivoluzionarie per alcuni pilastri dei nostri sistemi democratici: dai processi di formazione delle decisioni (pubbliche e individuali) ai meccanismi di diffusione della conoscenza, fino ad arrivare all’efficacia del metodo scientifico basato sul nesso causa-effetto e alla veridicità delle notizie veicolate dai media.

Proporre una riflessione quanto più possibile organica su temi di simile importanza per il nostro futuro è stato l’obiettivo del convegno “Flussi dell’informazione e processi decisionali”, organizzato martedì 28 gennaio alla Camera dei deputati dalla piattaforma Vision & Global Trends, nel corso del quale si sono succeduti gli interventi di accademici, studiosi e professionisti, tra cui Mario Morcellini (commissario Agcom e docente dell’università Sapienza di Roma) e Angelo Maria Petroni (segretario generale di Aspen Institute Italia ed ex componente del Cda della Rai).

Termini come big data, quantum computing, fake news, social media, machine learning, algoritmi, digitale e intelligenza artificiale (e l’elenco potrebbe continuare) sono ormai entrati a far parte del lessico comune usato per descrivere il presente, ma non si può dire che se ne stiano cogliendo appieno le implicazioni e le potenziali ricadute.

Infatti, se ogni 60 secondi su Google si producono circa 2 milioni di ricerche, ogni 24 ore YouTube fa registrare 4 miliardi di visualizzazioni uniche e ogni settimana le pubblicazioni sul sito Web del New York Times superano il numero delle informazioni di cui un uomo del diciottesimo secolo poteva disporre nell’arco della sua intera esistenza (tutti dati evidenziati durante l’evento), è al tempo stesso surreale e ingenuo ipotizzare che tutto ciò rientri in un gioco a somma zero.

Il costante aumento del numero di dati che abbiamo a disposizione e l’irruzione pervasiva dei linguaggi digitali hanno fatto sì, in primo luogo, che sia saltata ogni forma di delega nella trasmissione della conoscenza dai vertici culturali della società agli utenti finali.

Ormai, il modello lineare della circolazione del sapere che aveva contrassegnato i secoli scorsi è stato superato da un contesto in cui le informazioni sono a disposizione, in tempi estremamente rapidi, di tutti e dove ognuno si sente in diritto (quando non in dovere) di partecipare a qualunque forma di dibattito pubblico, spesso con toni polarizzati e ipersemplificati che non lasciano spazio ad analisi contrassegnate da uno spirito critico.

Il combinato disposto tra disintermediazione e quantità di notizie nettamente superiore alla capacità degli utenti di gestirle ha spalancato le porte, come si potrà immaginare, alla proliferazione delle bufale sulla Rete.

Le contromisure finora messe in campo per arginare il fenomeno delle fake news si sono rivelate insufficienti (a titolo di esempio, copiare il link di una notizia per verificarne la fonte non è una soluzione pratica se si ha uno smartphone), e l’arrivo della nuova frontiera dei video deepfake non lascia presagire nulla di buono: se il tempo medio per cogliere l’attendibilità di una notizia è di pochi secondi, come sarà possibile smascherare contenuti in cui si mescolano componenti reali (il volto di un personaggio pubblico) e messaggi completamente falsi?

Inoltre, le potenzialità di calcolo raggiunte dai computer e dagli strumenti tecnologici cruciali per tanti ambiti della nostra esistenza hanno reso possibile che al principio di causalità che regola le teorie scientifiche si stiano sostituendo le leggi della correlazione statistica, dove variabili sempre maggiori si intrecciano tra loro senza che sia possibile individuare un ordine o una gerarchia tra tali legami.

In un caos di numeri e informazioni come quello proprio del mondo digitale, solo il ricorso ai paradigmi dell’intelligenza artificiale (le cui origini risalgono agli anni Sessanta del secolo scorso) può permettere di trovare le risposte alle domande da cui muovono le nostre azioni, ma se l’input da parte umana non è chiaro il rischio che si corre è che le macchine portino gli individui a prendere a ogni livello decisioni inefficaci, perché non frutto di precisi convincimenti, per di più permettendo loro di sottrarsi a ogni responsabilità.A fronte dei rischi connessi ai cambiamenti dovuti a tecnologia e comunicazione (tali da far parlare il professor Morcellini di una ‘mediamorfosi’ in atto), da quasi tutti i relatori del convegno è stato evidenziato che la risorsa principale a nostra disposizione è rappresentata dal sistema dell’istruzione e della formazione.

Solo investendo in cultura e negli strumenti cognitivi per orientarsi nelle incertezze odierne sarà possibile fornire ai cittadini i mezzi per vivere da protagonisti, e non da vittime, le rivoluzioni in atto, padroneggiando appieno le possibilità offerte dal progresso.

Nessun mezzo tecnologico è in sé positivo o negativo, dal momento che sono gli usi che se ne fanno ad assumere simili connotati, ma se non si è nemmeno consapevoli dell’impatto che un medium ha su se stessi il risultato non potrà che essere il venire travolti dagli eventi.

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