Diritto d’accesso al Web, il momento è adesso

Tra le conseguenze dell’emergenza Coronavirus spicca il cambio di paradigma che ha portato Internet a diventare opzione di default in ogni ambito. Se la connessione alla Rete diventa un bene essenziale, la politica deve intervenire per evitare l’emergere di nuove disuguaglianze, da cui scaturirebbero un proletariato digitale e una lotta di classe 2.0. L’emergenza legata alla diffusione del COVID-19 ha sconvolto, da varie settimane a questa parte, la routine quotidiana e le abitudini di vita di ognuno di noi, portando con sé effetti dirompenti sui versanti sanitario, economico e sociale. 

Dalla fine del mese di febbraio in avanti, non c’è dimensione delle nostre esistenze che non sia stata condizionata dal propagarsi dell’epidemia da Coronavirus, che nella Fase 1 ha fatto sì che decine di milioni di persone abbiano dovuto trascorrere gran parte del proprio tempo in casa e nella Fase 2, quella del progressivo ritorno alle attività lavorative e interpersonali, costringerà l’intera popolazione a continuare a seguire misure di distanziamento sociale e protezione individuale.Una delle conseguenze della crisi in atto che è stato possibile osservare fin dal primo istante è stata l’accelerazione drastica e improvvisa di una serie di dinamiche legate alle tecnologie digitali, che avevamo iniziato ad apprezzare con la loro diffusione su larga scala negli ultimi anni.

Dal lavoro alla didattica, passando per il commercio, la cultura e la fruizione di servizi finanziari o assicurativi, in un arco temporale estremamente breve abbiamo assistito a un cambio di paradigma radicale: se prima la presenza fisica era la regola e il ricorso all’online l’eccezione o una scelta di ripiego, adesso le soluzioni offerte da Internet rappresentano l’opzione di default in ogni ambito, e non è affatto scontato che ciò cambi una volta che la necessità di evitare assembramenti sarà un ricordo lontano.

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A oggi, dunque, ogni famiglia italiana sta facendo i conti e dovrà continuare a farli con una realtà in cui smart working, didattica a distanza, acquisti su marketplace virtuali, operazioni in home banking, intrattenimento in streaming e altro ancora hanno acquisito un ruolo centrale, configurando la presenza in casa di una connessione Internet stabile e veloce, nonché di dispositivi in grado di connettersi alla Rete e soddisfare un’ampia gamma di azioni virtuali (per le quali gli smartphone di ultima generazione si stanno rivelando talvolta inadeguati), come un bene essenziale paragonabile alle forniture di acqua o energia elettrica.

Di fronte a un cambiamento repentino di simile entità, tuttavia, non sta trovando spazio nel dibattito pubblico e negli interventi dei rappresentanti delle Istituzioni il minimo accenno alla necessità di considerare l’accesso al Web come diritto fondamentale di ogni cittadino, meritevole di un riconoscimento sul piano legislativo (se non costituzionale) e di una decisa accelerazione dei piani di completamento dell’infrastruttura per la banda ultralarga in tutto il territorio nazionale, con vista sull’imminente rivoluzione delle reti 5G

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L’attenzione di decisori politici e media è invece dominata dai numeri della battaglia contro il virus che continua a combattersi negli ospedali, da aspetti fondamentali quali le misure necessarie a contrastare l’imponente recessione che ha iniziato a colpire il continente europeo e, in subordine, dalle preoccupazioni solo in parte fondate sulle minacce che l’app di contact tracing ‘Immuni’ porterebbe alla nostra privacy. Ma in uno scenario di questo tipo, permettere ai fenomeni elencati poco fa di dispiegarsi senza che lo Stato intervenga rischia di far sì che il distanziamento sociale si trasformi in distanza tecnologica tra chi ha i mezzi per farcela da sé e quanti sono destinati a rimanere sempre di più ai margini, dando luogo a una sorta di proletariato digitale, con annessa lotta di classe 2.0.

Si prenda il caso del mondo della scuola, le cui attività almeno fino al prossimo settembre continueranno a svolgersi a distanza, per volere del Governo e del Comitato tecnico-scientifico che ne supporta le decisioni. A fronte di una generica narrazione che vede tanto i docenti quanto gli studenti aver risposto con facilità alla chiusura delle aule, i dati pubblicati all’inizio di aprile dall’Istat sulla disponibilità di computer per bambini e ragazzi mettono in evidenza che nel biennio 2018-2019 un terzo delle famiglie italiane non aveva computer né tablet in casa, con punte di oltre il 40% nel Mezzogiorno, dove si trovano gran parte di quei territori di frontiera dove ricevere un’istruzione di primo livello può fare la differenza per mettere in moto l’ascensore sociale.

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In base agli stessi numeri, nel medesimo periodo di riferimento soltanto nel 22% dei nuclei familiari ogni componente ha avuto a disposizione un pc o un tablet, il che fa sollevare molti dubbi sulla possibilità che ora in una stessa abitazione possano convivere senza problemi genitori che lavorano da remoto e adolescenti alle prese con l’e-learning (senza trascurare, poi, che secondo l’Istituto di Statistica nel 2018 oltre il 40% dei minori si trovava in condizioni di sovraffollamento abitativo). I 70 milioni di euro stanziati a marzo dal Decreto Legge Cura Italia per l’acquisto di device funzionali alla didattica a distanza, cui si sono sommati gli 80 milioni messi a disposizione dal Ministero dell’Istruzione , rappresentano al cospetto di uno sconvolgimento di questa portata poco più di un punto di partenza.

In definitiva, se l’Esecutivo intende davvero far sì che nessuno rimanga indietro a causa degli effetti socio-economici dell’emergenza, la politica da qui ai prossimi mesi dovrà intervenire per garantire l’uguaglianza dei cittadini nel disporre di pari opportunità di base per accedere a Internet e sfruttare le potenzialità della Rete, senza che debbano essere le iniziative di singoli operatori o aziende a tentare di colmare le lacune. Una tecnologia che alimenti le disparità e non contribuisca al progresso di tutti è destinata a perdere la propria ragion d’essere, e nel caso specifico del Web solo la disponibilità generalizzata dell’hardware potrà permetterci di concentrarci sul software, ossia su piani concreti per l’alfabetizzazione digitale della cittadinanza, che in un futuro (ormai non lontano) dominato in toto dagli algoritmi dell’intelligenza artificiale sarà irrinunciabile.

 

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