"Troppi diritti. L’Italia tradita dalla libertà".

Mai come in questo periodo, si può dire che “Troppi diritti. L’Italia tradita dalla libertà” di A. Barbano sia da leggere a proposito.
La apparentemente ineluttabile lacerazione del tessuto connettivo della nostra società, la crescente virulenza del linguaggio sui social e la forte disaffezione verso la vita politica e i suoi appuntamenti elettorali ci conducono a chiederci se quello che viviamo possa essere considerato parte del “progresso” o se invece sia necessario capire le cause, correggere gli errori e recuperare quel senso di comunità nazionale ed europea legati ai valori del rispetto, della libertà di espressione e di crescita.

Barbano ci fa presente che la battaglia grillina per modificare l’art. 67 della Costituzione sull’assenza di vincolo di mandato, per trasformare i parlamentari in esecutori di click della Rete, ben si lega alla ipotesi futura di eliminare il Parlamento per… Conclamata inutilità!

L’attacco al “sapere” si poggia sulla crisi del concetto di autorità e sullo sfarinamento della cultura civile.

I diritti individuali, ci ricorda l’autore, sono stati il carburante del cammino delle democrazie contro gli assolutismi.

Successivamente, complice anche il forte sviluppo dei mezzi di comunicazione, hanno assunto una dimensione estetica svincolata sia dal senso del giusto che dal bilanciamento con i doveri.La democrazia viene percepita come vana, il cittadino la diserta perché essa, unitamente al suo meccanismo di delega, non lo rappresenta più sopraffatta dal “dirittismo”, proxy di una dittatura degli interessi immediati.

La democrazia moderna è stata resa possibile dalla presenza di un’opinione pubblica. Questa oggi è attraversata da una “rete selvaggia” che si poggia sul rancore della classe media, scivolata sempre più in basso, e sulla diffidenza, spesso cospirazionista. Sparisce l’autorità dei sapienti per fare spazio alle verità della Rete, spesso manipolate, da esibire con un moralismo superiore.

La vanità della democrazia non può non legarsi all’evoluzione, anzi, all’involuzione di quattro sistemi che ne costituiscono i pilastri: i media, l’istruzione, la cultura e la giustizia. Dopo più di mezzo secolo di scolarizzazione pubblica, è impossibile non notare il fallimento nel mettere in moto l’ascensore sociale e la sua dura corteccia corporativa, capace di fare infrangere tutti i tentativi di riforma, orientare sulla istruzione orizzontale sia attiva, con l’egualitarismo dei docenti, sia passiva, con la scelta di “aspettare l’ultimo, invece di valorizzare il migliore”.

Se la giustizia ha flirtato troppo con il giustizialismo, ”arma di distruzione di massa del dirittismo”, ci ricorda Barbano, allora ha finito per giustificare l’interventismo invasivo dove le indagini sono state percepite come una condanna anticipata. E la prescrizione, che costituisce una garanzia rispetto a un processo troppo lungo, è stata veicolata come un salvagente per i presunti colpevoli, senza riflessione alcuna sulla lungaggine e sulla ampiamente maggioritaria casistica di processi svuotati per assenza di prove adeguate. Barbano ci offre l’esempio della virologa Ilaria Capua, messa alla gogna mediatica e giudiziaria per un presunto traffico di virus, finito nel nulla assoluto.

Poco ottimista appare l’autore su quella che chiama la lunga notte del sud, sempre più distante dal resto del paese in quanto a capitale sociale, dotazione infrastrutturale e molto altro: senza la politica, unica a poter comporre interessi localistici e visioni diverse, non è ipotizzabile una strategia per il Mezzogiorno, e proprio in questi territori è massima la sfiducia verso la politica caratterizzata da una cronica assenza di una classe dirigente.

Nessuno oggi da Roma pone il superamento del divario come perno fondante di una strategia politica, né pare visibile un “pensiero del Mezzogiorno sul Mezzogiorno”.

La ricetta di Barbano passa attraverso la “moderazione integrale” come soluzione per una riabilitazione della rappresentanza dopo decenni di fallimento nel riscrivere le regole della democrazia. Il paese ha bisogno di recuperare un rapporto con la delega, il merito e i doveri. Il recupero di un realismo onesto non si può tuttavia ottenere con una legge, ma con un percorso costituente non facile ma senza dubbio necessario. La politica e la società, come è accaduto in altri fasi storiche di profondi cambiamenti, devono recuperare la capacità di anticipare la tecnica e non di subirla, nella totale consapevolezza che essa, nelle mani di aziende multinazionali, non è confinabile nelle dimensioni dello Stato-Nazione. Qui non sfugge il potenziale anelito alla dimensione europea, sicuramente maggiormente dotata di strumenti per il governo di questa sfida.

In chiusura, l’autore non poteva non riferirsi alle recenti votazioni presso il Parlamento europeo sulla direttiva sul diritto d’autore: l’Italia è il paese europeo più “piratesco” nel mancato rispetto del diritto di autore, tanto da ritenere un diritto certo della Rete di veicolare i contenuti di qualsiasi origine ed autore. Sottacendo il danno enorme che si fa alla competenza e privando gli autori del diritto alla remunerazione del proprio lavoro.

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