I professionisti dei Public Affairs alle prese con l’emergenza COVID-19

L’emergenza sanitaria, economica e sociale causata dal coronavirus ha inciso fortemente anche sulle attività tipiche del Lobbying e dei Public Affairs, incoraggiandone la digitalizzazione. Per comprendere appieno la portata di questi cambiamenti, abbiamo raccolto 50 risposte anonime di professionisti di settore, allo scopo di approfondire le nuove modalità di lavoro e di mappare gli strumenti che sono stati messi in campo. La ricerca, ideata e coordinata da ADL Consulting, è stata realizzata nel corso del primo lockdown nazionale (marzo – maggio 2020).

SEZIONE 1 – Public Affairs e Lobbying durante l’emergenza da Covid-19

1) Durante l’emergenza sanitaria, in conseguenza delle misure adottate dal Governo, diversi professionisti hanno cambiato drasticamente le loro abitudini quotidiane. A tal proposito, lei ha continuato a svolgere la sua attività professionale?

Tutto il campione intervistato, composto da 50 professionisti del settore dei Public Affairs, ha continuato a svolgere il proprio lavoro a tempo pieno. Durante il primo lockdown, i professionisti hanno quindi risposto in maniera flessibile alle nuove disposizioni del Governo.

 

2) Se sì, in che modalità la sua organizzazione ha scelto di riorganizzare il lavoro?

Le organizzazioni pubbliche e private a cui appartiene il campione intervistato hanno prevalentemente impostato le loro attività in Smart Working (68%). Tale modalità, per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, «è una esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività».

“L’assenza di vincoli orari o spaziali” è sopperita dal lavoro per obiettivi definiti e concordati tra dipendenti e datori di lavoro. Possiamo affermare che il professionista dei Public Affairs ha saputo cogliere la sfida che la pandemia ha lanciato da un punto di vista economico e sociale, ossia quella di sperimentare una diversa modalità lavorativa che ha posto sotto stress sia i canali di comunicazione tradizionali verso l’esterno che le dinamiche di coordinamento interno all’organizzazione.

 

3) Secondo la sua esperienza, quale strumento di comunicazione ha ritenuto più efficace per interloquire con il decisore pubblico?

Sul podio degli strumenti più utilizzati per interloquire con il decisore pubblico ci sono, nell’ordine, Virtual Meeting, Email e WhatsApp. Emerge da queste risposte un approccio alla relazione che utilizza sia strumenti formali che informali. L’aspetto più relazionale dell’attività di Lobbying, ovvero quello relativo all’incontro con il decisore pubblico, è stato mediato da piattaforme di video comunicazione, il cui utilizzo pre Covid-19 era riservato ad una nicchia di incontri tipicamente internazionali.

Connessa agli strumenti, vi è senz’altro la questione relativa alla privacy e alla sicurezza dei canali di comunicazione (anche relativamente alle soluzioni utilizzate per lo Smart Working). I professionisti che si sono scambiati informazioni riservate attraverso le piattaforme di videoconferenza online o tramite WhatsApp potrebbero in alcuni casi aver sottovalutato i rischi derivanti da possibili violazioni, specialmente quando connessi da reti domestiche.

 

4) Quali strumenti ritiene importanti per integrare le informazioni a sua disposizione?

Durante la prima ondata della pandemia globale e contestualmente allo sviluppo di fenomeni quali l’infodemia, legati al numero sempre maggiore di informazioni non verificate, il professionista dei Public Affairs ha scelto di affidarsi in primis a Servizi di consulenza ed esperti esterni all’azienda. In secondo luogo, anche a testate giornalistiche online e agli Open Government Data.

Specialmente in condizioni di emergenza, il monitoraggio legislativo – spesso affidato a consulenti esterni – resta un supporto imprescindibile per il professionista dei Public Affairs. Molte disposizioni normative a livello nazionale e locale riguardano il core business delle aziende, e il poter fare affidamento sulle giuste fonti è un fattore critico di successo.

Risultano meno determinanti in questa fase le informazioni provenienti dalla carta stampata, più adatte all’approfondimento e al commento che alla necessità di monitorare in tempo reale gli sviluppi della situazione di emergenza.

I Social Network appaiono utilizzati in maniera discreta ma non determinante.

 

5) In riferimento agli strumenti su menzionati, lei ne utilizza altri rispetto a quelli già individuati? Se sì, quali?

Altre fonti di informazione utilizzate dagli intervistati sono risultate essere: le associazioni di categoria, i network di professionisti, i siti web delle istituzioni e gli eventi in live streaming.

 

6) A proposito di riorganizzazione del lavoro a causa dell’emergenza sanitaria, ritiene di aver impostato il lavoro del suo team per obiettivi?

Quasi la totalità del campione ha impostato il lavoro del suo team per obiettivi. Questa impostazione risulta interessante perché consente alle organizzazioni più virtuose di inserire finalmente delle modalità di misura dell’avanzamento e della verifica degli obiettivi anche nel settore dei Public Affairs.

 

7) Durante gli ultimi tre mesi, ha dovuto rinunciare al perseguimento di interessi a medio-lungo termine a favore di interventi di breve periodo?

Durante i mesi di lockdown il 64% dei professionisti ha dovuto rinunciare al perseguimento di interessi a medio-lungo termine per interventi di breve periodo. I numerosi provvedimenti normativi che si sono susseguiti sia a livello nazionale che locale hanno creato un contesto di lavoro frenetico con picchi di carico di lavoro che hanno messo a dura prova i team di Public Affairs, spesso chiamati a fare da cerniera tra il vertice dell’organizzazione e l’attività di management e coordinamento dei propri colleghi e collaboratori.

SEZIONE 2 – Brand reputation e crisis management

 

8) Diverse aziende, durante questo momento, hanno avviato delle campagne di comunicazione o di advocacy e iniziative rivolte alle zone e ai soggetti colpiti dall’emergenza. Altre imprese hanno preferito, invece, tenere un profilo più basso e non adottare alcuna strategia in tal senso. La sua azienda su quale posizione si è orientata?

L’82% delle aziende coinvolte nel sondaggio ha avviato delle iniziative volte a diffondere informazioni corrette o aiuti nei confronti delle zone o dei soggetti maggiormente colpiti dall’emergenza.

Nello specifico, il 44% delle aziende coinvolte ha avviato un’attività di solidarietà durante la crisi di Covid-19, mentre il 38% ha predisposto campagne di comunicazione ad hoc.

 

9) In questo periodo la sua azienda è incorsa in incidenti reputazionali?

La maggior parte delle aziende coinvolte non è incorsa in incidenti reputazionali.

 

10) Ritiene che sia aumentato il rischio di incorrervi?

Tuttavia, per molti professionisti è aumentata la percezione del rischio di incorrervi. A tal proposito si rendono sempre più necessari il monitoraggio e l’analisi dei “segnali deboli”.

 

11) In questo periodo, è riuscito ad aumentare il suo capitale relazionale?

Nonostante il lockdown, vi è stato un netto incremento di capitale relazionale per i professionisti dei Public Affairs. Solo il 20% degli intervistati dichiara di non aver ampliato la sua rete di contatti durante i mesi di pandemia.

 

12) In modo particolare, nell’ambito delle attività messe in campo, il coordinamento tra le uscite sui media della sua organizzazione e le attività di lobbying è stato sempre efficace?

Nell’ambito delle attività messe in campo durante questi mesi, il coordinamento tra le funzioni aziendali di Comunicazione e Relazioni Istituzionali non è stato sempre efficace. La rilevazione effettuata sul campione conferma la tendenza già nota di scarso coordinamento tra le due aree a discapito dell’efficacia delle azioni che l’organizzazione mette in campo con decisori e stakeholder. Lavorare sul recupero di efficienza interna e sulle economie di coordinamento tra questi due comparti interni può essere di vitale importanza sia per l’attività ordinaria che per quella di Crisis Management.

 

13) Ha tenuto traccia della mole di attività di Public Affairs condotte?

14) Quali modalità ha utilizzato per tenere traccia dei contatti intercorsi con gli stakeholder?

La maggior parte dei professionisti coinvolti nell’indagine ha tenuto traccia del grande numero di attività condotte durante i mesi di lockdown, sia attraverso la classica email che attraverso appunti cartacei e scambi di messaggi privati tra colleghi.

 

15) Quante attività di Public Affairs e Lobbying ha condotto con stakeholder istituzionali nel periodo di emergenza?

16) Ha rendicontato le attività di Public Affairs al vertice aziendale?

La maggior parte del campione di riferimento ha condotto da 10 a 50 attività con stakeholder istituzionali nel periodo di emergenza; contatti che ha rendicontato al vertice aziendale.

 

17) Questo periodo è stato caratterizzato da una grande quantità di provvedimenti legislativi che si sono susseguiti nei mesi della pandemia, lei ha avuto problemi di coordinamento tra la legislazione europea, nazionale e regionale?

La mole di provvedimenti legislativi di questo periodo ha provocato per il 62% degli intervistati problemi di sovraccarico informativo e mancato coordinamento.

 

18) La sua organizzazione le chiede di rendicontare le attività ai sensi del Decreto Legislativo n. 231/2001, recante la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”?

La maggior parte del campione intervistato appartiene a organizzazioni sottoposte agli obblighi del Decreto Legislativo n. 231/2001.

SEZIONE 3 – Trasparenza e Registro dei rappresentanti di interesse

19) In Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati è in corso un ciclo di audizioni su 3 Disegni di legge in merito alla disciplina dell’attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi, trasparenza e del registro dei lobbisti. Secondo lei si arriverà entro fine legislatura all’approvazione di una norma su questa materia?

Nettamente decisi sull’argomento, la maggior parte dei professionisti intervistati dimostra sfiducia nei confronti dell’approvazione di una regolazione in tema di relazioni istituzionali e rappresentanza di interessi entro la fine della legislatura.

 

20) I 3 DDL prevedono tutti l’iscrizione obbligatoria al Registro dei rappresentanti di interessi. Secondo lei il Registro risolverebbe il problema della trasparenza e delle “revolving doors”?

Sebbene il tema sia stato proposto anche nelle scorse legislature, la proposta di regolamentazione appare lontana dalle aspettative dei professionisti, convinti che questa non risolva i problemi e le criticità della professione del lobbista.

Infatti il 58% di loro è convinto che questa legge non risolva i problemi della trasparenza e delle “revolving doors”.

 

21) Quale organismo dovrebbe essere competente alla tenuta del Registro?

22) Se invece fossero i Parlamentari e i vertici di Governo e Ministeri a pubblicare la lista degli incontri con i rappresentati degli interessi, questa potrebbe essere un’alternativa valida al Registro?

Secondo i professionisti a custodire il “registro dei lobbisti” dovrebbe essere l’Autorità nazionale anticorruzione. Un’alternativa valida potrebbe essere quella di affidare ai parlamentari e ai vertici del Governo la pubblicazione della lista degli stakeholder che puntualmente incontrano.

 

SEZIONE 4 – Il campione intervistato

23) Da quanto tempo svolge l’attività di Public Affairs manager?

24) In che settore opera l’organizzazione per cui lavora?

25) Qual è il numero di dipendenti della sua impresa?

26) Quale corso di laurea ha frequentato durante l’Università?

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