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“Un buon processo di elaborazione delle politiche garantisce che i diretti interessati siano coinvolti da vicino nel processo”. Così dichiarava nel 2021 l’allora Vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefčovič, responsabile, fra le altre, proprio della Better Regulation.
Better regulation significa legiferare meglio: basarsi su dati solidi, ridurre gli oneri amministrativi, e soprattutto garantire apertura, trasparenza e inclusività, coinvolgendo tramite consultazioni non solo gli stakeholder qualificati ma anche i cittadini europei.
L’articolo intende esaminare in modo critico lo spazio occupato dalle consultazioni pubbliche nell’ambito dell’Unione Europea, soffermandosi sui temi da queste affrontati, sull’entità della partecipazione e sulla loro portata effettiva.
Poco dopo le citate parole del Vicepresidente Šefčovič, come tirocinante, avrei varcato le porte del suo gabinetto, scoprendo da vicino strumenti di consultazione come il portale Have Your Say, che consente a chiunque di partecipare ai processi decisionali rispondendo a questionari su proposte legislative, o il principio del One In, One Out, pensato per bilanciare ogni nuovo onere regolatorio con la rimozione di uno equivalente. Già allora, la competitività europea – intesa come la capacità dell’Unione di sostenere innovazione, sostenibilità e crescita nel confronto globale – era una priorità strategica, divenuta poi cruciale grazie al rapporto Draghi.
In questo contesto, le consultazioni pubbliche sono diventate un pilastro del processo decisionale dell’UE. Le linee guida sulla Better Regulation le definiscono strumenti essenziali per “raccogliere contributi da un’ampia gamma di portatori di interesse attraverso diversi strumenti”.
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Tuttavia, nonostante la diffusione e l’importanza strategica riconosciuta delle consultazioni, ad oggi manca una comprensione approfondita della struttura di questi processi: che tipo di spazi politici generano? Che tipo di conflitti o convergenze emergono? E soprattutto: sono davvero utili ai fini dell’elaborazione delle politiche pubbliche?
A queste domande cerca di rispondere il recente e raro studio di Adriana Bunea, Reto Wüest e Sergiu Lipcean, pubblicato nel Journal of European Public Policy. Gli autori analizzano 42 consultazioni pubbliche lanciate dalla Commissione tra il 2013 e il 2018, spaziando tra settori e temi molto diversi. Il numero di partecipanti varia da appena 34 stakeholder a oltre 66.000, mentre le domande dei questionari spaziano da 9 a 143 temi specifici.
Per esplorare la struttura dello spazio politico emerso da questi dati, gli autori utilizzano la metodologia Specific Multiple Correspondence Analysis (SMCA), una tecnica di riduzione della dimensionalità adatta a questionari composti da risposte nominali, ordinali e dicotomiche. L’obiettivo è comprendere quante e quali dimensioni principali strutturano l’accordo o disaccordo tra stakeholder.
Per dimensionalità si intende un numero di fattori indipendenti necessari per rappresentare le variazioni nelle preferenze e nelle decisioni politiche. Ad esempio, in uno spazio politico unidimensionale, tutte le opinioni politiche possono essere collocate lungo un unico continuum, come il tradizionale spettro sinistra-destra. Al contrario, uno spazio bidimensionale consente di mappare le preferenze lungo due assi separati, come le dimensioni economica (sinistra-destra) e sociale (liberale-conservatrice).
Il risultato principale dello studio è atteso ma al contempo sorprendente: circa tre quarti delle consultazioni analizzate mostrano una bassa dimensionalità. Significa che il disaccordo è poco e che le opinioni espresse possono essere rappresentate su una o due dimensioni principali. Per i decisori pubblici è una buona notizia: spazi semplici sono più facili da interpretare, facilitano il compromesso e aumentano la probabilità di trovare soluzioni stabili.
E’ inoltre interessante notare come le dimensioni individuate non seguono linee ideologiche classiche, come avviene nella competizione tra partiti, ma si articolano piuttosto attorno a strumenti di policy specifici. Si conferma così che lo spazio politico delle consultazioni pubbliche europee è tecnico-regolatorio, e non ideologico.
Questa osservazione trova conferma nei dati. Su un totale di 88 dimensioni identificate, 63 riguardano strumenti concreti di policy – come tipi di incentivi, standard tecnici o strumenti informativi – mentre solo 20 dimensioni riflettono l’orientamento generale del regime regolatorio, ovvero le finalità strategiche della regolazione stessa.
In altre parole, le consultazioni tendono a strutturarsi intorno a divergenze su come regolamentare, più che sulla opportunità di regolamentare. È quindi la scelta dei mezzi – e non la messa in discussione dei fini – a generare le principali linee di frattura tra stakeholder.
Infine, lo studio dimostra che la complessità degli spazi politici non è determinata dal numero di stakeholder o dalla loro tipologia, ma piuttosto dal design della consultazione: domande troppo lunghe o numerose tendono a frammentare lo spazio delle risposte, generando strutture più complesse da interpretare.
Lo studio di Bunea, Wüest e Lipcean ci ricorda che le consultazioni pubbliche, se ben progettate, possono rappresentare un valido strumento per raccogliere informazioni strutturate, orientare il policy making e rafforzare la legittimità delle decisioni. Ma questo “se” è tutt’altro che marginale.
Ho avuto modo di osservare da vicino questi processi durante la mia esperienza nel gabinetto del Vicepresidente Šefčovič. L’intento di semplificare – attraverso principi come il Better Regulation o il One In, One Out – si scontra spesso con una realtà burocratica ancora complessa, frammentata, talvolta contraddittoria. Anche il processo di semplificazione può diventare, paradossalmente, farraginoso.
In questo contesto, non basta aumentare le consultazioni per garantirne l’efficacia. Se sono troppo numerose, generiche o mal calibrate, si rischia che l’impatto possa essere non all’altezza dello strumento. Al contrario, consultazioni ben progettate, mirate e analizzate con attenzione possono davvero fare la differenza, offrendo ai decisori pubblici un quadro chiaro delle preferenze in gioco e ai cittadini un canale autentico di partecipazione.
Lo studio mostra infatti che spazi politici ben strutturati, e non eccessivamente frammentati, facilitano l’identificazione di compromessi, l’aggregazione delle preferenze e la costruzione di soluzioni stabili. Ma per ottenere questi risultati, le consultazioni devono essere progettate con rigore, evitando overload informativi e quesiti mal calibrati.
In questo modo, si rafforzerà il dialogo democratico tra policy maker e stakeholder, istituzioni e cittadini.
Senior Public Affairs Analyst