Il primo evento globale data-informed: il caso delle mascherine

Tra protezione individuale e ambientale

Con il Covid-19, da un lato sono entrate a far parte delle abitudini quotidiane di tutti noi, e dall’altro lato del dibattito pubblico, politico e istituzionale. Ancora oggi, sono al centro di tutte le attenzioni. Tra mascherine come dispositivi medici (DM), mascherine come semplici dispositivi di protezione individuale (DPI) e mascherine di comunità, ovvero riutilizzabili e di materiali lavabili, la domanda che governi e organizzazioni si sono fatti e si stanno facendo è soprattutto una: ma è davvero uno strumento di protezione efficace contro la pandemia?

Le opinioni sul ruolo delle mascherine

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dall’inizio dell’emergenza sanitaria ha più volte cambiato posizione sull’opportunità di utilizzare o meno le mascherine: in un documento pubblicato il 6 aprile 2020%%note1%%, infatti, le definisce come uno dei mezzi di prevenzione che possono limitare la diffusione di malattie virali respiratorie, tra cui il Covid-19, ma ne evidenzia altresì il falso senso di sicurezza che potrebbe spingere gli individui a non rispettare le altre, fondamentali, misure di prevenzione come il distanziamento fisico. In un nuovo documento del 5 giugno%%note2%% l’OMS cambia poi posizione, consigliando l’utilizzo delle mascherine nei luoghi pubblici in quanto “forniscono una barriera per le goccioline potenzialmente infettive”.

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Lo stesso Governo italiano ha mostrato indecisione circa la loro efficacia e l’obbligo di utilizzo. A fine febbraio 2020 infatti, dopo la dichiarazione del Consigliere dell’OMS Walter Ricciardi “le mascherine per le persone sane non servono a niente”, il Ministro della Salute Speranza scrive: “La mascherina non è necessaria per la popolazione generale in assenza di sintomi da malattie respiratorie”, e rincara la dose il viceministro Sileri nella trasmissione radiofonica Radio Anch’io aggiungendo che “indossarle è una stupidaggine”. Addirittura, anche l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), nel rapporto 2/2020 di marzo 2020 destinato alle strutture sanitarie, ritiene non necessario fornire DPI ai pazienti senza sintomi respiratori.

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Nel mese di aprile, tuttavia, ecco un cambio di passo: il Professor Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento Malattie Infettive dell’ISS spiega a Rai1 come non solo le mascherine, ma anche semplici sciarpe o fazzoletti portati davanti a naso e bocca diminuirebbero il rischio di contagio da parte di persone positive asintomatiche. E infatti, il DPCM del 26 aprile 2020 %%note3%% rende obbligatorio l’utilizzo di mascherine negli spazi confinati o all’aperto in cui non è possibile garantire il distanziamento fisico. Pochi giorni dopo, il 5 maggio, il Ministero della Salute pubblica una campagna di comunicazione %%note4%%sull’uso corretto della mascherina.

Che cosa è cambiato da un mese a un altro?

Al di là dell’aumento sproporzionato del numero dei contagi da marzo ad aprile apparentemente poco altro. Si potrebbe pensare alla scarsa quantità disponibile di mascherine e la conseguente paura che i quantitativi a disposizione non fossero sufficienti per il personale sanitario in prima linea. Oppure, si potrebbe pensare alla pubblicazione di numerosi e autorevoli studi scientifici a favore dell’utilizzo della mascherina. Fatto sta che alla fine, l’Ordinanza del Ministro della Salute Speranza del 16 agosto 2020 %%note5%% ne rende obbligatorio l’utilizzo anche nei luoghi all’aperto dalle 18 di sera alle 6 di mattina.

L’incentivo alla produzione italiana

A inizio emergenza, essendo irreperibili sul mercato, è stata avviata una procedura di validazione straordinaria rispetto alla tempistica necessaria per la conformità alle prescrizioni europee (marchio CE), restando inalterati gli standard tecnici e di qualità richiesti ai dispositivi. Con il decreto-legge n. 14 del 9 marzo 2020 %%note6%%si sono poste le norme di deroga relative alle procedure di acquisto e di pagamento delle mascherine chirurgiche e dei DPI. Così facendo, si è resa possibile anche sul territorio nazionale la produzione e la fornitura, in tempi rapidi, sia delle mascherine chirurgiche, sia dei beni per la protezione dei lavoratori sanitari: guanti, occhiali, visiere, camici e maschere protettive facciali filtranti.

È con l’articolo 5 del decreto Cura Italia %%note7%%del 17 marzo 2020 che si è autorizzato il Commissario Straordinario per l’Emergenza a erogare finanziamenti alle imprese produttrici di tali dispositivi con contributi a fondo perduto, in conto gestione e finanziamenti agevolati: una dotazione finanziaria di 50 milioni di euro gestiti da Invitalia, l’agenzia nazionale per lo sviluppo coordinata dal MISE. Il bando promosso ha visto partecipare più di 900 imprese, ma solo 130 sono state quelle ammesse ai finanziamenti. Di queste, 92 sono aziende che hanno deciso di riconvertire i propri stabilimenti, mentre 38 sono società che hanno voluto ampliare i propri siti produttivi. La Campania è al momento la Regione con il maggior numero di domande approvate (21), seguita dalla Lombardia (19), Toscana (16) ed Emilia-Romagna (14); anche i settori di provenienza sono differenti, come si può vedere nel grafico sottostante. %%note8%%

 

 

Il prezzo della protezione per i cittadini

Si è inserita poi nel dibattito la questione dei costi al pubblico. Con l’ordinanza n. 11 del 26 aprile 2020 %%note9%% del Commissario Straordinario Arcuri si è stabilito che il prezzo finale di vendita praticato dai rivenditori finali, non possa essere superiore a 50 centesimi a pezzo, al netto dell’IVA. All’indomani dell’ordinanza si accende il dibattito politico, sollevato in Commissione XII Affari sociali della Camera a firma di Gemmato (Fdl), rispetto ai possibili danni alla popolazione: i cittadini, di fatto, avrebbero potuto riscontrare difficoltà nel reperire le mascherine a causa dell’impossibilità da parte delle farmacie di acquistare tali prodotti al prezzo medio di mercato.

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Delle 136 imprese vincitrici del bando Invitalia infatti, solo le cinque sopracitate erano in grado di produrre mascherine chirurgiche a 38 centesimi. Ed i numeri in effetti non dànno ragione ad Arcuri, che contava in una produzione in crescendo di 12 milioni di mascherine al giorno in maggio, 18 milioni in giugno, 25 milioni in luglio e ben 30 milioni al giorno in settembre per l’inizio del nuovo anno scolastico. A quasi un anno dall’avvio della produzione nazionale, la quota di mascherine chirurgiche prodotte non supera i 5 milioni:

 

 

La raccolta, il riuso, i controlli

Sul tema delle mascherine, a luglio 2020 erano già oltre 300 gli atti di sindacato ispettivo presentati dalle forze politiche e numerosi emendamenti, principalmente dell’allora opposizione, alla Camera ed al Senato, dove si chiedeva al Governo ragguagli sull’approvvigionamento delle mascherine e sul conseguente impatto, anche economico, sulla vita dei cittadini.

Come ben si ricorda, il tema del costo delle mascherine ad inizio pandemia era piuttosto sentito, tanto che le associazioni di consumatori già a febbraio 2020 si erano attivate; sia ADOC (Associazione Difesa Orientamento Consumatori) che Codacons, infatti, erano intervenute con dei comunicati stampa per denunciare l’elevato prezzo dei dispositivi di protezione individuale. L’ADOC, in particolare, chiedeva una regolamentazione del settore per far fronte alla speculazione sui prezzi delle mascherine, mentre il Codacons attaccava le speculazioni in atto sul web minacciando esposti alla Procura ed alla Guardia di Finanza verso tutti quelli che “lucrano sulla paura delle persone”.

Riguardo alla questione ambientale, invece, su tutti gli emendamenti presentati alle principali norme in discussioni in Parlamento in quei mesi, è rilevante l’emendamento a firma di Ilaria Fontana (M5S), neo sottosegretario al Ministero per la Transizione ecologica. L’emendamento, presentato al DL Rilancio e approvato il 3 luglio 2020%%note10%% dalla Commissione Bilancio, chiede al MAATM di adottare idonee linee guida contenenti specifiche misure volte a definire le modalità di recupero dei materiali delle mascherine, i criteri di raccolta presso le abitazioni e le forme di conferimento, anche attraverso misure di incentivazione a favore dei cittadini. L’emendamento si divide in tre parti principali:

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L’impatto ambientale dei dispositivi

E dal lato della sostenibilità? La produzione complessiva di rifiuti derivanti dall’utilizzo di mascherine e guanti, fino alla fine del 2020, sarebbe compresa tra le 160.000 e le 440.000 tonnellate circa, secondo un rapporto ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)%%note11%%. Numeri considerevoli, ma l’improvviso aumento della quantità di guanti e mascherine potrebbe non rappresentare per forza un problema secondo gli esperti ambientali e due importanti società operanti nel settore, intervenuti durante il dibattito parlamentare.

Infatti, per Iren (gestore del termovalorizzatore di Gerbido in cui confluiscono rifiuti normali) e per EcoEridania (il primo operatore a livello europeo nel trasporto e nel trattamento dei rifiuti di origine ospedaliera con 23 impianti in tutta Italia) non sono un problema in quanto, sia se inceneriti, sia se trattati come rifiuti ospedalieri, la quantità stimata sarebbe “trascurabile” in confronto alla quantità potenziale totale dei rifiuti. Tanto che, secondo le analisi di ISPRA, la riduzione di circa 500 mila tonnellate di rifiuti del periodo di lockdown tra marzo e maggio 2020 compensano abbondantemente la produzione di eventuali rifiuti DPI usati (in soli due mesi si compenserebbe l’eventuale produzione fino a fine anno).

Il problema maggiore è, piuttosto, come vengono smaltiti dai cittadini.

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Nel frattempo, si è cercato di limitare i danni all’ambiente che mascherine e guanti, incivilmente abbandonati per le strade, potrebbero causare. Il 30 giugno il Ministro dell’Ambiente Costa in una conferenza stampa ha presentato la campagna Alla natura non serve%%note12%%. Promossa dal Ministero dell’Ambiente e in collaborazione con Guardia Costiera, Ispra, Iss, Enea e Commissione Colao, è volta a sensibilizzare la cittadinanza sulle conseguenze dell’inquinamento prodotto dai dispositivi di protezione individuale e invita a una maggiore attenzione ai rifiuti. Stesso fine si pone la campagna Ecoproteggiamoci%%note13%%di Legambiente e Unicoop Firenze.

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