Possono le lobby rafforzare la democrazia?

7 Ottobre 2025

3 minuti

Quando sentiamo la parola lobby, la associamo quasi sempre a un’immagine negativa: quella di gruppi ben finanziati che cercano di influenzare i decisori politici a proprio vantaggio, spesso a scapito dell’interesse generale. Nel dibattito pubblico e anche nelle teorie della democrazia deliberativa, i gruppi di interesse (o lobby) sono infatti percepiti come un ostacolo: portatori di potere economico più che di ragioni.

Eppure, nell’articolo Lobbying and deliberation: interest groups as key agents of deliberative systems (recentemente pubblicato sulla rivista Contemporary Politics, lo trovate in open access qui), Alberto Bitonti propone una provocazione: e se i gruppi di interesse potessero diventare attori chiave della democrazia deliberativa? Non più “disturbatori”, ma protagonisti di arene dove si discutono politiche pubbliche in modo aperto, trasparente e basato sul merito degli argomenti.

Perché coinvolgere i gruppi di interesse?

Bitonti individua tre vantaggi principali nell’inserire i gruppi di interesse dentro spazi deliberativi strutturati:

  1. Competenza – Sindacati, associazioni, ONG o imprese possiedono conoscenze tecniche, dati, esperienze dirette e soluzioni che possono arricchire il dibattito, rendendo le decisioni più informate.
  2. Rappresentanza – I gruppi danno voce a comunità e categorie sociali o economiche a volte trascurate. La loro inclusione rafforza la legittimità del processo.
  3. Implementazione – Poiché molti gruppi collaborano alla messa in pratica delle politiche, coinvolgerli fin dall’inizio facilita l’attuazione e riduce conflitti successivi.

In più, se tutti i soggetti interessati si sentono ascoltati, aumenta la fiducia nelle istituzioni, anche da parte di chi non ottiene ciò che desiderava.

 

Tre tipi di conflitto

 

Bitonti descrive tre scenari in cui i gruppi di interesse possono migliorare la qualità della deliberazione:

  • Disaccordi sui fatti: i gruppi possono svolgere un ruolo di fact-checking reciproco, smascherando dati falsi o distorti.
  • Disaccordi su interpretazioni o previsioni: più spesso le divergenze riguardano cause ed effetti delle politiche (ad esempio, gli effetti economici o ambientali di una politica). Qui i gruppi portano prospettive e prove differenti, che possono completarsi o confutarsi a vicenda, arricchendo il dibattito.
  • Disaccordi sui valori: quando lo scontro riguarda principi etici fondamentali (es. aborto, diritti LGBT+), la deliberazione non porta necessariamente a un consenso, ma può favorire la chiarificazione dei conflitti e una reciproca comprensione, riducendo la polarizzazione.

 

Le obiezioni (e le risposte)

 

L’autore dedica una sezione ampia dell’articolo alle possibili obiezioni. Eccone alcune tra le più rilevanti:

“Il lobbying non è deliberazione, è potere economico travestito da dialogo.”

Bitonti risponde che, se si escludono pratiche di corruzione, il lobbying è spesso competizione di argomenti. Con adeguate regole – registri di trasparenza, inclusione di voci deboli, arene pubbliche – si può rendere il lobbying più deliberativo.

 

“Ma dov’è la democrazia, se deliberano i gruppi e non i cittadini?”


La distinzione sta nei ruoli: i gruppi deliberano, i decisori democraticamente eletti e legittimati prendono la decisione finale, motivandola anche alla luce delle posizioni emerse.

“I gruppi più forti cattureranno comunque il processo.”

Le disuguaglianze non spariranno, ammette l’autore. Ma un’arena aperta e regolata può attenuarle, spostando il fuoco dell’influenza dalle risorse economiche o dall’accesso privilegiato al merito degli argomenti.

 

Una prospettiva “realista”

 

L’idea di Bitonti appartiene a un approccio che potremmo definire di realismo deliberativo: accettare che la politica non sia un campo neutrale di dialogo tra cittadini e gruppi tutti uguali, ma un’arena di interessi e poteri. Invece di immaginare un mondo senza lobby, è più utile riconoscere che i gruppi sono parte strutturale della politica, chiedendosi come trasformarli da ostacolo a risorsa per decisioni più informate, inclusive ed efficaci.

Da qui la proposta di ripensare la regolazione del lobbying: non solo come strumento di trasparenza, ma come dispositivo per favorire arene deliberative dove gruppi diversi possano confrontarsi apertamente, contribuendo a decisioni più informate, legittime ed efficaci.

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