Interazione tra tecnologie digitali e politica: le infrastrutture di ricerca

Se l’influenza delle nuove tecnologie e dell’Intelligenza Artificiale (IA) sulla nostra vita è da anni oggetto di studio, un tema di cui non si discute ancora abbastanza è invece quello dell’intreccio tra tali tecnologie e la politica. Questo articolo individuerà dei tips su come ricavare un’infrastruttura di ricerca di successo, al fine di semplificare l’accesso e la condivisione dei dati non solo tra ricercatori ma anche tra cittadini e policy-makers a livello nazionale e internazionale.

In che modo nuovi strumenti digitali possono cambiare non solo il modo di fare politica ma anche gli effetti di quest’ultima sulla vita dei cittadini? E soprattutto, come possiamo assicurarci che questi cambiamenti avvengano in senso positivo?

Open government e tecnologia: un dialogo trasparente e inclusivo? 

 

Sempre più di frequente assemblee cittadine e parlamenti stanno utilizzando le nuove tecnologie per includere i cittadini in ogni fase dei processi legislativi e decisionali pubblici: un processo che prende il nome di crowdlaw. Affinché la popolazione sia incentivata a prendere parte a tale processo, è necessario garantire che gli strumenti digitali di partecipazione non abbiano effetti negativi o non producano distorsioni della percezione dell’interesse pubblico. 

Non solo è fondamentale evitare la manomissione ex post dei dati e delle opinioni riportate, ma sono anche necessarie verifiche ex ante: è cruciale stabilire un equilibrio tra le esigenze di privacy degli utenti da un lato – da qui l’imperativo della cybersecurity di sistemi e infrastrutture – e dall’altro la necessità di assicurarsi che le opinioni riportate derivino effettivamente da una persona reale e non siano reiterate da sistemi di IA. Secondariamente, gli strumenti di partecipazione devono essere resi lineari e facilmente comprensibili, affinché il processo partecipativo non diventi elitario o esclusivo e sia garantito il principio di non-discriminazione. Un terzo elemento è  quello di evitare che la partecipazione online diventi un mero esercizio di democrazia: essa deve quindi produrre impatti visibili e misurabili. Ciò non implica che le preferenze di ciascuno vengano soddisfatte, ma che esse siano in qualche modo prese in considerazione dai policy-makers nelle loro scelte. È inoltre fondamentale evitare che policy-makers utilizzino le piattaforme come strumento per delegare la responsabilità morale di alcune decisioni. È necessario vi sia non solo una responsiveness, ossia la capacità dei politici di rispondere alle esigenze degli elettori, ma che sia garantita l’accountability: i rappresentanti devono rendere conto agli elettori del loro operato. La reciprocità del gioco politico deve essere garantita non solo “in presenza” ma anche online. 

Da qui l’importanza di avere un’infrastruttura di ricerca adeguata, che permetta agli studiosi di comprendere appieno e prevedere gli effetti di un utilizzo sempre maggiore delle tecnologie da parte dei policymakers.

Gli ostacoli da superare 

 

Gli autori del paper “Building Research Infrastructures to Study Digital Technology and Politics: Lessons from Switzerland” identificano una serie di sfide che rendono particolarmente complesso lo studio degli effetti delle tecnologie digitali sulla politica. La prima è legata all’accesso ai dati. Non solo sono necessarie particolari capacità di elaborazione dei dati, ma l’accesso stesso ad essi dipende dalla volontà di condivisione da parte delle piattaforme che li gestiscono. Anche secondo Bitonti et al. (2019), la pubblicazione dei dataset dovrebbe avvenire in formato aperto, facilmente ricercabile tramite motori di ricerca, al fine di agevolarne il riuso da parte di altri soggetti. Da qui i numerosi investimenti, tra cui quelli del PNRR, per garantire l’interoperabilità delle banche dati della Pubblica Amministrazione, ossia la capacità di scambiare informazioni tra loro e di essere poi in grado di utilizzarle. La seconda sfida che i ricercatori devono affrontare è la permanenza dei dati. I dati raccolti grazie ad uno studio non vengono in generale condivisi con altri, e non rimangono in un database comune. Nuovi progetti devono ricominciare da zero la ricerca: un sistema inefficiente in termini di tempo e risorse. In terzo luogo, la condivisione dei dati è spesso vincolata da regole più o meno chiaramente definite, date non solo dalle piattaforme in cui essi vengono raccolti ma anche dalle normative nazionali ed europee per la protezione dei dati, quali il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR). Infine, la maggior parte delle ricerche in questo settore si concentra su un contesto specifico, gli Stati Uniti, le cui dimensioni, lingua, struttura istituzionale e sistema elettorale e partitico non sono rappresentativi di altri Paesi.

 

Il design di un’infrastruttura di ricerca di successo 

 

Gilardi, Baumgartner, Dermont e gli altri autori dell’articolo (2022) hanno elaborato una struttura di ricerca al fine di provare a superare gli ostacoli menzionati poc’anzi. Gli insegnamenti tratti da questo studio possono risultare particolarmente utili per altri contesti, siano essi più ampi dal punto di vista del periodo temporale considerato o del sistema paese analizzato

 

  1. La prima parola chiave è automatizzazione. Poiché alcuni tipi di dati sono difficili da ottenere retrospettivamente, la creazione di un sistema che raccolga i dati in modo continuativo presenta notevoli vantaggi. A tale sistema si possono aggiungere nuove fonti di dati non appena esse risultino potenzialmente utili per la ricerca attuale o futura. 
  2. Spesso si ha la tendenza ad accumulare troppi dati senza uno scopo preciso, che quindi rimarranno inutilizzati. Per evitarlo, è importante definire e aggiornare regolarmente le aree di ricerca, assegnando diversi livelli di priorità ai dati, ed essere costantemente in contatto con le persone che lavorano, o hanno intenzione di lavorare, con quei dati. 
  3. Alcune parti dell’infrastruttura possono essere esternalizzate: la maggior parte delle università dispone di un servizio informatico scientifico che può ospitare i dati, fornire i server per il calcolo e supportare l’impostazione e la manutenzione del sistema. È consigliabile inoltre includere nel team uno scienziato sociale con un forte background tecnico che possa svolgere direttamente alcuni compiti e comunicare efficacemente con il servizio informatico scientifico. 
  4. Al fine di garantire che il lavoro svolto abbia un impatto mediatico, e quindi aumentare la visibilità della ricerca e le opportunità di finanziamento, è raccomandabile contattare giornalisti di media affermati prima di investire troppi sforzi in un’analisi specifica. 
  5. Per assicurarsi i finanziamenti necessari a creare l’infrastruttura, è utile inserirla all’interno di un progetto concreto e sostanziale, che abbia degli ampi benefici sociali. L’inclusione di altri ricercatori, inoltre, permette di superare quei vincoli legali che si presentano quando i dati lasciano il gruppo di ricerca. Seppur la concorrenza sia generalmente positiva, collaborare per la creazione di un’unica infrastruttura per ciascun Paese permette di raccogliere i dati in maniera centralizzata e garantire l’accesso diretto a più ricercatori, evitando sprechi di risorse temporali ed economiche. In tal senso, l’Unione Europea si sta impegnando a ridurre la frammentazione dell’ecosistema europeo della ricerca e dell’innovazione con numerose iniziative, strategie e reti: esempi sono l’European Strategy Forum on Research Infrastructures (ESFRI), che identifica le priorità di investimento sulle infrastrutture di ricerca, il Group of Senior Officials (GSO), un gruppo di esperti che studia la situazione esistente a livello globale e le opportunità di collaborazione, e l’European Open Science Cloud (EOSC), un database Cloud europeo per la ricerca. Un esempio a livello italiano è l’ICDI (Italian Computing and Data Infrastructure), un tavolo di lavoro composto dai rappresentanti delle principali Infrastrutture di Ricerca e Infrastrutture Digitali italiane, avente l’obiettivo di promuovere sinergie a livello nazionale.

Perché incentivare l’uso delle tecnologie?

 

Il possesso e la gestione efficiente dei dati costituisce un aspetto strategico della relazione tra settore pubblico e soggetti privati. Utilizzando strumenti di Intelligenza Artificiale ed elaborando big e smart data, i decision-makers possono prevedere e conoscere i bisogni di ogni sottogruppo della popolazione, capendo i rischi e gli effetti potenziali di un’azione di policy in maniera più accurata, e monitorarne l’implementazione. Le piattaforme di partecipazione online, dal lato dei policy-makers consentono di coinvolgere gli stakeholders nel processo decisionale, ottenere regolarmente input rispetto a problemi collettivi, e feedback sulle politiche messe in atto; dal lato dei cittadini, esse permettono di garantire l’accountability dei decisori pubblici e ottenere output politico di maggiore qualità

Immaginare il Governo come una piattaforma, un co-creatore di politiche, che veda la collaborazione tra cittadini, enti privati e decisori attraverso strumenti digitali implica una serie di problematiche, quali assicurare l’equità delle decisioni prese dai policy-makers e la non-discriminazione dei cittadini (soprattutto tra gli utenti che decidono di utilizzare gli strumenti digitali per esprimere il loro parere e quelli che non lo fanno).

Considerando l’urgenza e l’importanza di rispondere in modo appropriato alle sfide legate all’interazione tra la tecnologia digitale e la politica, l’infrastruttura di ricerca proposta da Gilardi et al. (2022) rappresenta un valido modo per superare gli ostacoli che la ricerca su questo tema deve affrontare e – di conseguenza – elaborare studi e previsioni che possano produrre degli impatti concreti sulla vita politica di un Paese, e garantire che l’uso del digitale e dell’IA sia a beneficio dei cittadini.

Fonti

Gilardi, F., Baumgartner, L., Dermont, C., Donnay, K., Gessler, T., Kubli, M., Leemann, L. e Müller, S. (2022). Building Research Infrastructures to Study Digital Technology and Politics: Lessons from Switzerland. PS: Political Science & Politics, 55(2), 354-359. doi:10.1017/S1049096521000895 

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