Il ruolo delle immagini digitali nel processo di policy making

L’articolo “Visualizations, technology and the power to influence policy”, di Rebecca Moody e Victor Bekkers dell’Università di Rotterdam, analizza il ruolo della visualità nel processo di policy-making attraverso un approccio che si rifà alla teoria del framing (costruzione della realtà in base al proprio punto di vista) e dello storytelling.

Gli autori prendono le mosse da un’immagine che, a partire dal 3 settembre 2015, è ben impressa nella memoria di tutti noi, in quanto divenne tristemente virale su tutti i social network e, in seguito, anche sui media tradizionali. Il Manifesto gli dedicò una importante copertina

La foto in questione rappresentava il corpo esanime di un bambino siriano sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia. 

Da quel momento in poi si accesero i riflettori sul fenomeno dell’immigrazione e, in modo particolare, sui traffici illegali di migranti. Il battage mediatico e le successive intese politiche condussero all’accordo UE-Turchia

Il disappunto e lo sconcerto creato presso l’opinione pubblica da questa immagine, che ha fatto rapidamente il giro del mondo, hanno quindi avuto il potere di trasformare la realtà “offline”, al punto che le forze politiche europee si mobilitarono al fine di raggiungere un accordo con il governo Turco per la gestione della crisi. Il provvedimento, ratificato il 18 marzo, ha difatti avuto l’obiettivo di dissuadere i migranti dal percorrere rotte irregolari per raggiungere l’UE e colpire, in questo modo, il modello di business dei trafficanti di esseri umani.

Questa vicenda, secondo gli autori, dimostra quanto i contenuti digitali e le tecnologie visuali impattino sul processo di policy making attraverso il potere delle immagini, che non soltanto creano reazioni emozionali da parte degli utenti, ma generano comportamenti (condivisioni, commenti) che di fatto polarizzano l’opinione pubblica e producono dibattito presso i decisori. Possiamo affermare, dunque, che in questo modo anche le immagini rappresentano un canale diretto di interazione con gli utenti per indirizzare delle azioni di Social Media Advocacy.

Il contesto teorico e gli “pseudo eventi”

Le immagini e i contenuti visuali prodotti dagli utenti e presenti nella rete creano, distribuiscono e condividono punti di vista specifici sui più svariati temi sociali, interessi e valori. La facilità con cui ognuno può esprimere un commento, insieme all’impatto emotivo di una foto o un’illustrazione, scatena delle “reazioni a catena” sui social media e crea interesse collettivo rispetto a tematiche specifiche.

McLuhan sosteneva che è la forma, non il contenuto dei media, che dà vita ad una vera e propria ideologia delle immagini (McLuhan M. & Fiore Q., Il Medium è il messaggio, 1967). Una realtà simulacrale – come la definiva Baudrillard – dominata da forme di rappresentazione elaborate dagli esseri umani (Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà, 1996). In questo senso, gli utenti interagiscono tra loro esprimendo pensieri ed emozioni rispetto ad un determinato fatto di cronaca o di attualità da cui emergono posizioni politiche ma anche istanze nei confronti dei decisori pubblici.

I social network hanno definitivamente affermato tale forza delle immagini: sempre più, attraverso una miriade di contenuti quotidiani, vengono raccontate storie personali e pubbliche di carattere informativo (di cronaca e attualità) o afferenti alla sfera sociale.

Gli avvenimenti che hanno colpito in maniera profonda l’opinione pubblica – come l’11 settembre del 2001, la crisi finanziaria del 2007 – 2008, i disastri naturali tra cui gli incendi in Australia del 2019-2020, e la crisi sanitaria, economica e sociale scatenata dal Covid-19 in questo 2020 – sono stati raccontati da immagini che possiamo definire “globali”, o meglio globalizzate. Ognuno di questi eventi è stato raccontato all’interno della cornice dei social media dando origine a uno storytelling collettivo da parte della rete di utenti. 

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Il discorso sociale e le conseguenze comportamentali legate al racconto di queste vicende – per dirla con Foucault – ha creato una pluralità democratica di voci all’interno della storia: non c’è più un solo autore come in passato (la Chiesa, lo Stato) ma un insieme di singoli individui con accesso al web. Questi nuovi autori della storia non hanno una provenienza specifica di classe, età o genere e, inoltre, provengono (diritto di accesso al web permettendo) da tutto il mondo. 

Attraverso un’immagine vengono trasmessi significati comprensibili potenzialmente da tutti gli utenti della rete. Lo studioso Lash, già diversi decenni fa, affermava che “diffidiamo dalle nostre percezioni fino a quando la fotografia non le conferma. Le immagini fotografiche ci danno la prova della nostra esistenza” (S. Lash, Forme tecnologiche di Vita, 2001).

Gli eventi menzionati fanno parte dei così detti “pseudo eventi”, ossia una tipologia di evento che ha “tutte le apparenze della realtà, ma che ci giunge attraverso i canali massmediali e che è, pertanto, già in partenza, soggetto a delle manipolazioni che ne inficiano la realtà e la verisimiglianza” (Dorfles G., Mélanges de l’école française de Rome, 1992). Non possiamo, dunque, prescindere dall’interpretazione a monte della creazione di un contenuto visuale. La fotografia è sempre mediata da un punto di vista, in quanto un utente che crea un contenuto e lo condivide in rete esprime intenzionalmente i suoi pensieri, i valori, le credenze e, talvolta, queste immagini virtuali, in virtù della loro ricchezza di significati simbolici associati, stimolano il dibattito pubblico tanto da influenzare le priorità del decisore politico.

Il consumo dei media digitali: tendenze e conclusioni

Secondo l’ultimo Rapporto del Censis sui Media e la Costruzione dell’identità, tra il 2018 e il 2019 si è registrato un aumento dell’impiego di internet (dal 78,4% al 79,3% di utenza, con una differenza positiva di quasi un punto percentuale), mentre gli italiani che utilizzano gli smartphone sono saliti dal 73,8% al 75,7% (con una crescita annua dell’1,9%, quando ancora nel 2009 li usava solo il 15% della popolazione). Risulta così evidente come le esperienze umane siano diventate sempre più mediate da apparecchi multimediali che filtrano la realtà attraverso immagini di diverso tipo. 

La stessa politica è diventata una politica mediata: non solo i cittadini hanno esperienza della politica attraverso i social o le notizie di testate online, ma anche i decisori “fanno politica” in primis su questi strumenti. Come testimoniano le piattaforme online come Social.camera o la gemella europea The european parliament’s newshub, i contenuti pubblicati sui social network dai rappresentanti politici o dai partiti sono facilmente reperibili e organizzabili in dashboard che offrono quadri chiari e immediati attraverso cui mappare le opinioni dominanti all’interno delle istituzioni.

Con l’intento di capire come queste immagini influenzino non solo il contenuto delle politiche pubbliche, ma tutto il processo di costituzione e i risultati da esse derivanti, l’articolo di Moody e Bekkers classifica i diversi i tipi di visualizzazione in base a:

  • Due dimensioni, che riguardano la forma dell’immagine: ferme o in movimento, replica esatta o riproduzione.
  • Diversi tipi di storie visuali: forensi (attesto una cosa che è successa), persuasive (drammatizzo alcuni aspetti per suscitare emozioni) e immaginate (presento scenari possibili o futuri). 

A seconda dunque che guardiamo ad un’immagine statica o un’animazione, una fotografia o un cartone animato, questi producono differenti meccanismi di significazione: scopriamo che, ad esempio, il disegno (in particolare le mappe), l’animazione e il film portano a una maggiore percezione di trasparenza rispetto ad altri oggetti digitali. Questo vuol dire che, all’interno del discorso politico online, i post che contengono tali formati guadagnano in termini di affidabilità e gli utenti sembrerebbero spinti maggiormente alla condivisione.

Inoltre, la stessa tecnologia utilizzata per la visualizzazione crea una cornice interpretativa per quanto riguarda il tema dell’oggetto digitale in questione, un’interpretazione che può essere indipendente dal contenuto stesso del problema. I due autori sostengono che le animazioni sono viste come più affidabili, politicamente neutre e veritiere rispetto a qualsiasi altro formato. Una terza ipotesi formulata riguarda il contenuto della visualizzazione, ossia la storia che viene raccontata. In modo particolare, dallo studio emerge che una narrazione persuasiva viene subito individuata dall’utente, che sviluppa una predisposizione nel non voler cambiare il quadro concettuale di riferimento di una problematica né tantomeno la messa in discussione di una policy. Questo genere di narrazioni agisce, invece, da rinforzo rispetto a contesti esistenti e problematiche già all’attenzione dell’opinione pubblica.

Nella comunicazione istituzionale, social o di marketing le immagini che si sceglie di mostrare agli utenti sono responsabili della percezione che gli stessi hanno nei confronti dell’azienda, dell’organizzazione politica o dell’istituzione in questione. Il fatto che un supporto visuale funzioni meglio di lunghi post sulla rete è cosa risaputa, ma andando nello specifico, dall’analisi emergono alcune macro tendenze:

  • Le rappresentazioni grafiche più efficaci sembrano essere quelle che riescono a mettere insieme un grande numero di informazioni (magari già note prima, ma che messe insieme determinano un cambio di frame), in particolare le animazioni (ma anche le mappe), considerate scientificamente più attendibili (perché si suppone che vengano elaborate da qualcuno in modo preciso). 
  • Occorre fare attenzione alle rappresentazioni grafiche fatte male o in maniera approssimativa poiché vengono percepite come meno affidabili, condizionando anche il messaggio stesso. 
  • Anche il canale di distribuzione conta molto: ad esempio, se un film passa in tv è preso molto più seriamente che se distribuito solo sul web. 
  • Rispetto al tipo di storia, le storie forensi e immaginate funzionano di più di quelle persuasive (che possono rafforzare frame esistenti ma non li cambiano, perché vengono percepite come esplicitamente “manipolative”).

In conclusione, dobbiamo soffermarci su due insight da portare a casa a termine di questa lettura:

Quando elaboriamo una strategia di comunicazione social o di marketing, indipendentemente dal fatto di lavorare per una grande o piccola azienda, un’istituzione o un politico, occorre definire una chiara strategia a lungo termine. A chi vogliamo arrivare? Cosa vogliamo esprimere? La risposta a queste domande è in linea con l’immagine del brand? Ogni visualizzazione, che sia un’immagine di un post o un video di presentazione, deve essere coordinata, integrata e, soprattutto, coerente con la strategia di branding perseguita dall’organizzazione in questione.

A livello operativo, se l’obiettivo della nostra strategia di comunicazione è persuadere gli utenti rispetto ad una tematica e, dunque, si intende perseguire un’azione di Social Media Advocacy, è necessario porre attenzione sia alla tecnologia utilizzata per la produzione delle nostre immagini che al canale con cui intendiamo divulgarle. 

Pensiamo, ad esempio, alla più grande campagna di Social Media Advocacy degli ultimi anni, quella effettuata dalle associazioni non governative per la sensibilizzazione alla tutela e alla salvaguardia dell’ambiente. Molte delle campagne che perseguono questi scopi, si prefiggono di arrivare ad un target molto ampio e variegato di utenti, pertanto utilizzano i vari strumenti di comunicazione come un sistema integrato attraverso cui incanalare lo stesso messaggio a più utenti. Le Ong hanno scelto i canali in base al tipo di formato da condividere, selezionando il contenuto più consono a seconda degli utenti che presidiano la piattaforma in questione.

Accanto a questo, i messaggi sono stati condivisi in blog sponsorizzati dagli utenti, siti web / blog sponsorizzati dalle aziende, siti dedicati a cause specifiche, social network su invito, siti di networking aziendale, siti web collaborativi, mondi virtuali, comunità commerciali, podcast, siti di distribuzione di notizie e di condivisione di materiale didattico. Ciò ha consentito agli utenti di creare user genereded content, personalizzando in questo modo i messaggi delle Ong nella propria rete. 

A tal proposito, per citare un caso di successo, si veda la campagna Greenpeace Mediterranean Anti Genetically Engineered Food Turkey di cui l’approfondimento nello studio Social Media as a Tool for Online Advocacy Campaigns: Greenpeace Mediterranean’s Anti Genetically Engineered. Food Campaign in Turkey”. 

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